“Mi chiedi che io ti esponga la morte di mio zio, per poterla tramandare con una maggiore obiettività ai posteri. Te ne ringrazio, in quanto sono sicuro che, se sarà celebrata da te, la sua morte sarà destinata ad una gloria immortale”. Sono le parole di apertura della lettera in cui Plinio il Giovane racconta a Tacito la morte dello zio, avvenuta durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C., di cui ne costituisce un’importante testimonianza. Da Miseno lo zio, Plinio il Vecchio, s’imbarcò per andare a studiare il fenomeno eruttivo da vicino, spinto dalla sua passione per la scienza, ma anche per trarre in salvo alcune persone intrappolate a Stabia. Come aveva appreso da una lettera da parte di Rettina, moglie di Casco, consegnatagli mentre usciva di casa, gli abitanti della villa, posta lungo la spiaggia della zona minacciata, avevano bisogno di navi per scappare in mare. “Egli allora cambia progetto e ciò che aveva incominciato per un interesse scientifico lo affronta per l’impulso della sua eroica coscienza. Fa uscire in mare delle quadriremi e vi sale egli stesso, per venire in soccorso non solo a Rettina ma a molta gente, poiché quel litorale, in grazia della sua bellezza era fittamente abitato […]. Ormai, quanto più si avvicinavano, la cenere cadeva sulle navi sempre più calda e più densa, vi cadevano ormai anche pomici e pietre nere, corrose e spezzate dal fuoco, ormai si era creato un bassofondo improvviso ed una frana della montagna impediva di accostarsi al litorale. Dopo una breve esitazione se dovesse ripiegare all’indietro, al pilota che gli suggeriva quest’alternativa tosto replicò: ‘La fortuna aiuta i prodi; dirigiti sulla dimora di Pomponiano’”. La lettera prosegue con un racconto concitato delle ultime ore di vita dello zio, fino alla morte: “Secondo me, l’aria troppo impregnata di cenere deve avergli impedito il respiro ostruendogli la gola, che per natura era debole, angusta e soggetta a frequenti infiammazioni. Quando il giorno dopo tornò a risplendere (era il terzo da quello che egli aveva visto per l’ultima volta), il suo corpo fu trovato intatto, illeso, coperto dalle medesime vesti che aveva indosso al momento della partenza; l’aspetto era quello di un uomo addormentato, piuttosto che d’un morto”.
Il sondaggio è ubicato nell’area archeologica di Stabiae, che occupa la parte terminale della collina di Varano: un ripiano morfologico posto al margine sud-orientale della Piana alluvionale-costiera del Fiume Sarno e alle pendici settentrionali dei rilievi carbonatici dei Monti Lattari.
Il ripiano su cui sorge villa San Marco è delimitato verso mare e verso la piana da una ripida scarpata, relitto di una antica falesia marina modellatasi durante la risalita post-glaciale del livello del mare, il cui apice è stato raggiunto circa 6.000 anni fa portando la linea di costa a lambire la collina di Varano (STADIO 1).
I torrenti che trovano origine nei rilievi carbonatici circostanti e solcano il pianoro, con i loro apporti alluvionali, hanno contribuito, assieme al rallentamento dei ritmi di risalita del livello del mare, all’avanzamento della linea di costa verificatosi a partire da circa 5000 anni fa.
Circa 3800 anni fa una serie di cordoni dunari e spiagge sabbiose (Dune e spiagge di Pioppaino e Spiagge di Stabiae) e di lagune costiere caratterizzavano il territorio posto a valle della paleofalesia di Stabiae (STADIO 2). In questo contesto ambientale e paesaggistico fu fondata e si sviluppò l’antica città di Stabia.
Al 79 d.C., l’età dell’eruzione vesuviana che distrusse Stabiae e le sue ville, la linea di costa si presentava ancora più avanzata con ambienti dunari e spiagge molto più pronunciati e con ambienti lagunari praticamente assenti e sostituiti da locali pantani ed acquitrini (STADIO 3).
L’area di Varano fu oggetto degli scavi borbonici condotti nel XVIII secolo. Con le campagne di scavo della metà del XVIII sec., vennero alla luce alcune grandi ville d’otium, tra le quali quella denominata “di San Marco”, attiva al 79 d.C.
La villa comprende due peristili, situati a diversi livelli, intorno ai quali si sviluppano una grande piscina, sale di rappresentanza e ambienti residenziali.
La dimora è dotata di un completo quartiere termale il cui orientamento segue quello della strada dell’impianto urbano di Stabiae, con la quale comunica attraverso una scala. Il nucleo più antico, risalente ad età augustea, è costituito dall’atrio tetrastilo con gli ambienti circostanti da cui si accede alla grande cucina. Ad Est dell’atrio è stato individuato recentemente un ingresso secondario attraverso la strada che conduceva alla sottostante zona litoranea. Da tale ingresso si accedeva ad un quartiere rustico collegato alla villa attraverso un piccolo peristilio con al centro un’area verde in cui sorgeva un albero da frutto. Intorno vi erano latrine e ambienti di servizio, forse celle per conservare derrate alimentari.
Il sondaggio 0014 è stato realizzato nell’angolo nord-occidentale del viridario ad ovest della natatio del peristilio più piccolo.
L’ultima eruzione che ha alimentato il manto piroclastico della collina di Varano è stata quella vesuviana del 79 d.C., costituita da un banco di pomici e di cineriti, spesse mediamente tra 1.5 e 2.5 metri. Tale orizzonte non è stato intercettato poiché rimosso per portare alla luce i resti della Villa.
A partire dal piano campagna, il carotaggio ha intercettato l’humus del viridario (US1), che rappresenta la parte superiore di un paleosuolo policiclico intercettato per l’intero spessore indagato (5 m), intercalato da ceneri alterate di colore giallastro o bruno-arancio, che derivano da eruzioni di molti millenni prima.
Tra -3.4 e -3.8 m dal piano campagna sono stati intercettati frammenti di tufo forse pertinenti ad un elemento unico rotto dal carotiere. Visto lo spessore e la profondità di rinvenimento, è più probabile che si tratti di un blocco piuttosto che della formazione dell’Ignimbrite Campana in posto, dato che nell’area tale formazione è generalmente attestata a maggiori profondità e con maggiori spessori.