Ultimo sacerdote di Iside in Egitto, Mamo Rosar Amru s’imbarcò una notte e giunse a Pompei per rifondare sulla costa campana i Misteri isiaci, costruendo il Tempio dedicato alla dea nel II secolo a.C. Così narra la leggenda secondo Giuliano Kremmerz, vissuto a cavallo tra l’Otto e il Novecento, membro di un misterioso centro esoterico-massonico che identificò nel Tempio di Iside a Pompei il centro propulsore del suo culto, a cui aderì anche Edward Bulwer-Lytton che, recatosi in Italia nel 1833, vi trovò l’inspirazione per il suo celebre romanzo Gli ultimi giorni di Pompei (1834). Ma già nel 1700, in seguito alla scoperta del Tempio di Iside (1764), primo tempio egizio che gli Europei avessero mai visto, nacque e si diffuse la moderna egittologia, che diede inoltre nuovo impulso all’occultismo. Alchimisti ed esoteristi si appropriarono dei misteri isiaci per riproporli in chiave moderna, fondendoli con le teorie e i riti della nascente massoneria. Tra questi figurano Raimondo di Sangro Principe di Sansevero, fondatore dell’Ordine Egizio-Osiride che si fece costruire una cappella personale ispirata al tempio di Iside scoperto a Pompei, e il leggendario Conte di Cagliostro, che pose lo stesso ordine alla base di una nuova obbedienza massonica: il Rito di Memphis.
Il tempio di Iside, visitato da letterati e artisti da ogni dove, ha offerto un ricco repertorio di immagini, motivi e storie che sono diventati un’importante fonte iconografica e letteraria di opere come Il Flauto Magico, composto da Mozart nel 1791.
Il tempio era attiguo al cosiddetto Foro Triangolare, una delle aree più antiche della Pompei arcaica, da considerarsi una città molto diversa da quella del 79 d.C., con un assetto urbanistico lacunoso. Lì era collocato il ben più antico tempio di Atena, fondato su una propaggine del banco lavico che si affacciava sullo scalo fluviale del Sarno. Il tempio e tutta l’area avevano un significato profondo, oltre a una valenza cultuale: essendo situati in una posizione scenografica, visibile da lontano, svolgevano una funzione segnaletica importante, legata ai commerci. La denominazione Foro Triangolare deriva dalla forma a “triangolo” del tempio e dello stesso banco lavico, percepita così sia da mare, sia da terra. Si ritiene che, successivamente al culto di Atena, vi si sia praticato quello di Eracle, leggendario fondatore della città, e che qui, secondo alcune attribuzioni, si trovi la sua mitica tomba, l’Heroon. Si narrava che l’eroe greco, di ritorno in patria in seguito una delle sue fatiche, dopo aver fondato Ercolano, fosse stato onorato dagli indigeni con una sacra processione (pompa) nel luogo in cui sarebbe successivamente sorta la città che nel suo stesso nome avrebbe conservato il ricordo di quella cerimonia: “dalla Spagna ritornò Ercole per la Campania ove in una città mostrò la pompa o trofeo del suo trionfo, e perciò fu detta Pompei”.
Il punto di indagine 0013 è ubicato all’interno del Parco Archeologico di Pompei, e più precisamente nell’area del Foro Triangolare, nello spazio racchiuso dal portico e davanti all’ingresso del Teatro Grande.
L’area del Foro Triangolare occupa uno sperone lavico dal quale si domina la bassa valle fiume Sarno.
Il luogo fu destinato a funzione sacra già dal VI sec. a.C., da quando venne costruito un tempio di tipo greco dedicato ad Atena. Alla dea fu associato il culto eroico di Eracle, a cui fu dedicato un heroon. Questo spazio, monumentalizzato nel corso del II sec. a.C., è ristrutturato in età augustea con un portico composto da tre bracci scanditi da 100 colonne in tufo che delimita uno spazio di forma triangolare con al suo interno l’area sacra e il tempio di tipo greco.
La stratigrafia intercettata dal sondaggio 0013 è dominata da riporti di terreno e non mostra piani di frequentazione antichi.
L’alternanza di accumuli artificiali (possibili scarichi) sino alla profondità di ca. 4.8 m, ovvero fino alle piroclastiti di colore vinaccia a tetto delle lave di Pompei, lascia supporre che siamo in presenza di un declivio naturale del banco lavico colmato progressivamente. Risulta difficile comprendere se gli scarichi possano riferirsi ad un livellamento del terreno contemporaneo e funzionale alla sistemazione della piazza colonnata.
In dettaglio, fino a 1.5 m dal piano campagna, i terreni riportati contengono frammenti di tufo e intonaco anche di grandi dimensioni. Tra 1.5 e 1.7 m si intercetta uno strato di terreno costipato con alla sommità un frammento di tufo alto circa 3 cm tagliato dal carotiere. Non ci sono elementi che consentano di definire se tale livello possa essere relativo ad un piano di sistemazione / frequentazione dell’area.
Al di sotto, tra 1.70 e 3.10 m, si individua uno strato costituito da terreni asportati dalla sequenza naturale e ributtati, evidentemente per livellare la morfologia del substrato lavico.
I terreni di riporto intercettati al di sotto di tale accumulo sono costituiti da cineriti inglobanti frammenti di tufo, laterizi e ossa direttamente poggianti sul substrato lavico.