Codice

0008

Sito

Messigno

Date

04.10.2018

Regione

Pompei

Città

Napoli

Stato

Italia

Profondità

10 mt

Coordinate

40° 44' 6.2" N 14° 30' 16.98" E

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Le acque di Messigno hanno la proprietà miracolosa di rendere il legno in esse immerso molto duro, come se fosse marmorizzato. Il rinvenimento, nel 1832, delle cime in legno “durevolissimo” di tre cipressi piantate verticalmente nel terreno portò l’ingegner Giuseppe Negri a credere di trovarsi di fronte ai resti di antiche imbarcazioni romane. Poiché il cipresso non è una specie endemica della zona, e il suo legno era in passato usato per le alberature navali, Negri arrivò alla conclusione che tali cime fossero alberi di navi seppellite dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., mentre navigavano in un sito che allora era sommerso dalle acque. Nei tempi dell’eruzione di Pompei, la zona di Messigno si trovava in prossimità di uno dei sette affluenti del Sarno, ritenuto delle acque miracolose, mentre nel ‘700 sappiamo che la zona era diventata una laguna che i Borbone decisero di bonificare, tant’è che il famoso vescovo San Paolino approdava nella laguna proprio navigando il Sarno. Negri arrivò a persuadersi che si trattasse proprio del naviglio su cui Plinio viaggiò per soccorrere il suo amico Pomponiano durante l’eruzione e per poter proseguire gli scavi. Si rivolse allora al Ministro della Guerra e della Marina, enfatizzando in una lettera che l’Archeologia e la Storia avrebbero tratto preziosi vantaggi da questa nuova sua scoperta, suscitando la meraviglia, lo stupore e l’invidia di tutte le nazioni, poiché avrebbe provato l’incorruttibilità del legno fossilizzatosi in diciotto secoli, per effetto delle acque minerali. Per alcuni decenni su questa vicenda scese il silenzio, finché nel 1858, nel corso dei lavori di scavo per la rettifica del fiume Sarno, fu rinvenuto a Messigno un cipresseto di circa cento alberi, notizia che ridestò l’interesse di scienziati e archeologi. La disposizione regolare dei tronchi rivelò la natura non spontanea del cipresseto, probabilmente piantato per la lavorazione del suo legno, particolarmente ricercato per infissi e mobili, e condusse alla scoperta di un’antica villa rustica a esso adiacente. Al termine dei lavori di bonifica della zona, il complesso fu rinterrato e della loro localizzazione rimase traccia solamente negli archivi e nelle fonti bibliografiche, fino a riemergere grazie a lavori di saggi archeologici nel 1989. Le ipotesi di Negri sono venute a cadere, tuttavia a lui si deve il merito di essere stato il primo ad attirare l’attenzione del mondo scientifico su un sito che, nel corso degli anni, si è rivelato essere uno dei più ricchi di reperti archeologici.


La località Messigno ricade nel territorio comunale di Pompei, e geograficamente si colloca nella pianura alluvionale-costiera del Fiume Sarno, compresa tra il versante sud-orientale del complesso vulcanico del Somma/Vesuvio e le fasce pedemontane dei Monti di Sarno a nord-est e dei Monti Lattari a sud-est. 

Il sondaggio 0008 è stato realizzato in prossimità del cordone dunare costiero olocenico di Messigno, il più interno ed antico della pianura alluvionale del Sarno, ed ha raggiunto la profondità di 10 m dal piano campagna.

La tendenza evolutiva generale manifestata dall’area nel corso del tardo-quaternario appare suddivisibile in almeno tre fasi principali, la cui scansione temporale comincia appena dopo la messa in posto dei prodotti piroclastici della grande eruzione dell’Ignimbrite Campana avvenuta circa 39.000 anni fa. Infatti in discontinuità sui prodotti tufacei dell’IC, poggia una spessa successione continentale di ambienti fluviali e palustri, formatisi durante la fase di basso livello eustatico del livello del mare riferibile all’Ultimo Massimo Glaciale, fino a circa 14.0/15.0 ka BP, quando la linea di costa si trovava una decina di chilometri più a largo. 

Nella fase post glaciale e fino a circa 6.000 anni fa, il sollevarsi del livello marino e la contemporanea subsidenza della piana prevalgono sull’apporto di sedimenti determinando l’avanzamento della linea di costa nel settore centrale della pianura modellando le falesie nei settori bordieri della pianura (Paleofalesia di Pompei, Paleofalesia di Varano di Stabia).

Negli ultimi 6.000 anni il ritmo di sollevamento del livello marino e la subsidenza della piana diminuiscono e l’apporto dei sedimenti alluvionali e piroclastici diventa prevalente. Si determina così un’inversione di tendenza nella dinamica della linea di costa che comincia ad avanzare formando lidi sabbiosi sempre più avanzati e subparalleli alla costa attuale, alle spalle dei quali si determinano ambienti lagunari ed acquitrinosi. 

Si riconoscono almeno 4 distinti episodi che hanno interrotto il generale avanzamento negli ultimi 6.000 anni, dando origine ad altrettanti cordoni costieri: quello di Messigno (tra 5.6 e 4.5 ka BP) è il più antico e più interno. Seguono poi, in posizione più avanzata, quello di Bottaro/Pioppaino, ( tra 3.6 e 2.5 ka BP), quello di epoca romana ed infine quello risalente pressappoco all’anno Mille.

La sequenza stratigrafica intercettata, ha messo in evidenza 5 unità stratigrafiche principali, caratterizzate da sedimenti litologicamente e tessituralmente differenti e ben separate da chiare superfici di discontinuità o di erosione. 

Nel dettaglio, al di sotto del piano pavimentale stradale (asfalto e massicciata), alto circa 1,20 m, si rinviene, per uno spessore di circa 2m, una serie di suoli vulcanoclastici accresciutisi anche per il continuo apporto delle piroclastici riferibili alle eruzioni storiche del Vesuvio. Essi poggiano in continuità sui prodotti pomicei e cineritici dell’eruzione del 79 d.C., spessi circa 1.5 m, i quali sigillano una successione, spessa circa 3 m, costituita al livello più alto da suoli antropizzati e verso il basso da depositi alluvionali e palustri a forte componente travertinosa. Una superficie di erosione marca il passaggio all’unità sottostante, spessa circa 1.65 m che, essendo costituita in prevalenza da depositi sabbiosi e limosi ricchi di elementi carboniosi, di sostanza organica allettata e di frammenti di gusci di lamellibranchi, può essere riferita ad ambienti di sedimentazione costiera.

La successione fin qui investigata presenta i tipici caratteri di una sedimentazione di ambiente costiero costituito da depositi di spiaggia, dunari, lagunari e palustri, così come noto in letteratura per l’area di Messigno, e pertanto può essere riferita all’intervallo temporale che intercorre tra la massima ingressione marina (circa 6000 anni fa) e la formazione del successivo cordone dunare di Bottaro-Pioppaino (circa 3800 anni fa). Tale successione poggia a 9.40 m di profondità dal piano campagna su depositi ghiaiosi carbonatici di ambiente alluvionale, a testimoniare un livello del mare decisamente più basso e una linea di riva molto più esterna. Tali condizioni si sono verificate durante i minimi eustatici dell’ultimo massimo glaciale e del tardo glaciale, così come risulta noto dalla letteratura. Inoltre le dimensioni superiori al centimetro delle ghiaie fluviali permettono di ipotizzare un corso del fiume Sarno molto vicino all’area del sondaggio.