Momentary Monument – The Core costituisce l’origine del progetto più ampio Digging-Up. Atlas of the Blank Histories, realizzato per la prima volta a Kabul nel 2012, in occasione di dOCUMENTA (13).
Il punto di partenza è un’indagine condotta sul territorio, volta a identificare i luoghi più significativi della città, affidata alla consultazione di testi scritti e di storie tramandate oralmente, ma soprattutto secondo il parere dei suoi stessi abitanti. In questa occasione, è stato redatto e distribuito un questionario ai cittadini di Kabul, con l’invito a indicare alcuni luoghi che l’intervistato ritenesse di voler preservare, fossero essi pubblici o privati, considerati importanti dal punto di vista storico, sociale, culturale o solamente per ragioni personali, e che si trovassero nelle aree interne alla città di Kabul o nelle sue immediate vicinanze.
Dai risultati del sondaggio, sono emerse sei zone dove sono stati effettuati altrettanti carotaggi: il cimitero di Ashiqan wa Arifan, uno dei quartieri più antichi di Kabul; Bagh-e Babur, un parco storico della città dov’è sepolto Babur, il primo imperatore della dinastia Moghul; il forte di Qala-e Noborja; Darul Aman, palazzo in stile neoclassico costruito nel negli anni Venti del Novecento a sedici chilometri dal centro di Kabul, all’epoca del progetto ridotto in una rovina; il parco Shāre Naw; Wazir Akbar Khan, quartiere a nord della città, che prende il nome dell’emiro che ha regnato in Afghanistan dal 1842 al 1845, e che ospita istituzioni e ambasciate costruito su modello europeo negli anni Sessanta e Settanta.
Durante la fase di ricerca altre aree sono state individuate attraverso la raccolta di materiale documentario e sopralluoghi, senza che vi si effettuassero i relativi carotaggi a seguito del sondaggio determinato dai questionari. Tra esse le sedi di tre istituzioni, quali lo ACKU-Afghan Center at the Kabul University, l’Afghan Film e lo Zoo cittadino, e poi una porzione delle antiche mura della città di Kabul, l’One Hotel, sede della guest house aperta e gestita dall’artista italiano Alighiero Boetti negli anni Settanta del XX secolo, i resti, nel frattempo rasi al suolo, del Centro Culturale costruito dall’Unione Sovietica dopo l’occupazione dell’Afghanistan nel 1979, una serie di fornaci per la costruzione di mattoni e un campo profughi Kucis.
I sei carotaggi estratti sono stati tagliati in segmenti lunghi un metro, riposti in scatole di legno corrispondenti alla lunghezza dei segmenti dei carotaggi e, con l’indicazione della loro provenienza. Originariamente esposti presso il Queen’s Palace, edificio collocato nel punto più elevato dei giardini di Babur (Bagh-e-Babur), insieme ai cento questionari compilati, incorniciati e affissi al muro.
La loro esposizione è avvenuta nell’ambito della mostra (20.06-19.07.2012) organizzata curatorialmente dall’artista Aman Mojadidi e dal membro del Core Agent Group Andrea Viliani, con la supervisione del direttore artistico di dOCUMENTA (13) Carolyn Christov Bakargiev, quale fase finale del progetto di dOCUMENTA (13) in Afghanistan, a seguito di una serie di seminari condotti a Kabul e Bamiyan fra il 2010 e il 2012.
Allestiti verso il 1528 (il 935, secondo il calendario islamico) dall’imperatore Moghul che diede loro il proprio nome, e descritti anche nelle sue memorie personali, i giardini – già luogo di riposo e di sepoltura e oggi uno dei luoghi di maggior aggregazione della comunità cittadina – furono oggetto di successivi ampliamenti e trasformazioni, fra cui la costruzione nel 1675 di una moschea ad opera dell’imperatore Moghul Shihābuddīn Moḥammed Khurram, meglio noto come Shāh Jahān e nel 1880 di un nuovo padiglione e di una residenza riservata alla moglie (il Queen’s Palace) da parte del re Abdur Rahman Khan, o la trasformazione in giardino pubblico attuata nel 1993 e l’aggiunta nel 1980 di una serra. L’intervento più recente è consistito nel restauro dell’area dove era collocata la tomba di Babur (nel frattempo dispersa) e delle mura perimetrali, al recupero degli edifici pre-esistenti e alla costruzione di un nuovo caravanserraglio, alla piantumazione di alberi e arbusti e, in base agli scavi archeologici effettuati, al ripristino delle tredici terrazze, collegate fra loro da una rete di camminamenti e scalinate, lungo le quali si effettua il percorso di visita.
Al termine della loro esposizione presso il Queen’s Palace all’interno di Bagh-e Babur, i carotaggi sono stati dispersi e i questionari compilati, che rimangono l’unica testimonianza dell’installazione, donati all’Università di Kabul.
Anche l’installazione di Kabul – come le altre che sarebbero seguite nel contesto complessivo del progetto Digging-Up, di cui essa costituisce l’avvio e la premessa metodologica – racconta un’identità sedimentata nel terreno, costituisce un archivio depositario di una storia e di una memoria personali e collettive, in questo caso messe a rischio da una Storia composta negli ultimi decenni da invasioni straniere, guerre civili, affermazioni di regimi totalitari, processi di peace making imposti dall’esterno, intenso sfruttamento e rapido stravolgimento edilizio e urbanistico: ogni carotaggio corrisponde a un luogo identificato da coordinate di geolocalizzazione precise, che conserva anche temporalità diverse, registrate negli strati del terreno. A differenza delle iterazioni successive del progetto, a Kabul non sono ancora presenti la componenti rappresentate dalle placche di identificazione dei luoghi dove è avvenuto il carotaggio e dalla Time Capsule, la “macchina del tempo” a cui è affidata la custodia e la trasmissione al futuro dei carotaggi. Questi ultimi, insieme ai questionari, sono stati invece affidati nel 2012 alla custodia dell'Aga Khan Trust for Culture (AKTC), partner di dOCUMENTA (13), a fini di conservazione e studio, in collaborazione con l'Università di Kabul.
La custodia dei carotaggi è stata successivamente assegnata a un individuo che vive in Afghanistan con l’accordo che sarebbe stato il depositario temporaneo dell’opera. Quando questa persona non sarà più in grado di custodire i carotaggi, per qualsiasi ragione, il suo unico compito sarà quello di identificare un futuro custode alla cui cura i carotaggi saranno trasferiti, e così via, fino al tempo in cui i carotaggi saranno irrevocabilmente perduti o torneranno infine alla terra da cui erano stati estratti... o forse ritrovati e preservati per la posterità. Il destino del progetto in Afghanistan sarà dunque intrecciato con il futuro del luogo e della sua gente.